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Milano-Ferrara

🚴
260
km percorsi
⛰️
620
m dislivello
📍
-
m quota max
🕓
4
giorni
🗓️
Partenza 28/06/2021
Arrivo 01/07/2021

Da Milano a Ferrara in bici

Giugno 2021, una sera qualsiasi a Milano. Siamo seduti a parlare del più e del meno e, a un certo punto, la conversazione finisce dove finisce spesso: sulle nostre bici. In città ci muoviamo praticamente solo così, e l’idea arriva quasi da sola: perché non provare a spingerci un po’ più in là, oltre il solito tragitto casa–lavoro–aperitivo? Qualcuno apre le mappe sul telefono, traccia una linea verso est e in pochi secondi la follia è detta ad alta voce: Milano–Ferrara, in bicicletta.

Non c’è un vero piano, e forse è proprio quello il bello. Le bici sono quelle da città, pesanti e robuste ma tutt’altro che pensate per macinare chilometri. Il bagaglio finisce tutto negli zaini, che già alla partenza sembrano troppo pieni. Per dormire ci affidiamo ad Airbnb, scegliendo qualche alloggio a caso lungo il percorso, giusto per avere un posto dove crollare la sera. È più un “vediamo come va” che un viaggio organizzato. Ed è esattamente quello che cercavamo.

Giorno 1 – Milano → Piacenza

La mattina della partenza Milano ci saluta con il suo solito rumore di fondo, ma basta allontanarsi un po’ perché tutto cambi. I semafori lasciano spazio alle rotonde in mezzo ai campi, le auto si diradano, l’aria sa di estate e di pianura. Le prime ore scorrono con addosso l’adrenalina di quando inizi qualcosa senza sapere davvero come andrà a finire. Le gambe girano, le chiacchiere riempiono i rettilinei e la città, lentamente, scompare alle nostre spalle.

Più ci avviciniamo a Piacenza, più la fatica si fa sentire. Non siamo su bici da corsa, gli zaini tirano le spalle verso il basso e il caldo comincia a battere sul casco. Eppure, quando finalmente entriamo in città, tutto questo passa in secondo piano. Arrivare a Piacenza ha il sapore del primo vero traguardo: la linea tracciata la sera prima sul telefono è diventata asfalto sotto le ruote. È il momento in cui capiamo che questo viaggio, nel bene e nel male, è iniziato davvero.

Giorno 2 – Piacenza → Casalmaggiore (Spineda)

Il secondo giorno parte con una stanchezza diversa, più profonda ma anche più consapevole. Ormai sappiamo che cosa significa passare ore sul sellino di una bici da città con uno zaino sulle spalle. La direzione è quella di Casalmaggiore, seguendo la logica della pianura e del Po che scorre poco distante, anche quando non lo vediamo. La giornata è calda, la strada è lunga, ma l’idea di avvicinarci alla meta ci spinge avanti.

A fine tappa, però, scopriamo il primo vero scherzo del nostro entusiasmo: la casa non è a Casalmaggiore, come ci raccontavamo da giorni, ma a Spineda. Quindici chilometri in più, infilati in coda a una giornata già piena. Sono proprio quei chilometri extra a pesare di più: le gambe sono dure, il sole sembra non mollare mai, le chiacchiere si fanno rare e ognuno pedala un po’ più chiuso nei propri pensieri. Quando finalmente arriviamo e ci si presenta davanti la seconda sorpresa: l’alloggio non ha nemmeno la cucina. Dopo due giorni di viaggio, scoprire di non poter nemmeno buttare giù un piatto di pasta fatta da noi è quasi comico. Ci mangiamo quindi quel che troviamo e dopo un po' di chiacchiere tutti a nanna.

Giorno 3 – Casalmaggiore → Ferrara (Pincara)

La mattina del terzo giorno è quella in cui la testa comincia a pesare quanto le gambe. La meta è Ferrara, ma anche questa volta la mappa non è dalla nostra parte: l’ultimo alloggio non è in città, ma a Pincara, in Veneto, ancora una ventina di chilometri fuori. A questo punto abbiamo due giorni di strada alle spalle, zaini che non sono diventati più leggeri, e un caldo che continua a spingere da sopra e da sotto.

È il momento in cui bisogna scegliere se testardamente fare tutto in bici o ascoltare il corpo e il buon senso. Decidiamo di non trasformare il viaggio in una gara contro noi stessi. Scendiamo quindi verso Parma per prendere un treno per coprire l’ultimo tratto. Non lo viviamo come una sconfitta, ma come una parte del viaggio: un pezzo di strada fatto diversamente, con le bici che riposano qualche ora accanto a noi.

Arrivare nell’area di Ferrara e raggiungere Pincara ha un sapore strano. Non è l’ingresso trionfale in città che avevamo immaginato la prima sera, davanti alle mappe, ma è qualcosa di più reale: siamo stanchi, un po’ cotti dal sole, pieni di piccoli errori di pianificazione, ma anche con la sensazione di aver fatto davvero un viaggio.

La “pedalata zero”

A distanza di tempo, questo Milano–Ferrara mezzo storto, con tappe messe giù un po’ a occhio, alloggi decentrati e zaini al posto delle borse, è diventato il nostro vero punto di partenza. È il viaggio in cui abbiamo capito quanto contano i dettagli: scegliere meglio le tappe, verificare dove si trovano davvero le case, distribuire il peso sulla bici invece che sulla schiena, accettare che ogni tanto un treno può salvare un’avventura invece di rovinarla.

Non è stato il viaggio più lungo, né il più efficiente, né il più elegante. Ma è stato quello che ha acceso la miccia. Da lì in poi sono arrivati itinerari più lunghi, più avventurosi, più lontani, magari anche più organizzati. Eppure, quando si ripensa a dove tutto è cominciato, l’immagine è sempre la stessa: una sera a Milano, un dito che scorre sulla mappa, una linea verso Ferrara tracciata senza pensarci troppo, e un gruppo di amici convinti che basti una bici per far diventare grande anche l’idea più semplice.